martedì 2 settembre 2008

Gatti e P.O.R.C.O.

Alzi la mano chi non ricorda il gatto di Alice.

Quel gattone a strisce con un sorriso grande grande che fa correre un brivido lungo la schiena. Perchè chi ride troppo è sempre un po' inquietante. Ebbene: quel gatto sornione, dondolante, tanto sicuro nella suo sconclusionata favella, é inquietante.

Perchè dice la cosa più giusta ovvia del mondo. Ricordate?


"In quale direzione devo andare adesso?" chiede Alice.

"Dipende molto da dove vuoi arrivare" risponde lo Stregatto.

E mai risposta fu più appropriata e magistrale.


Come si fa a decidere la strada se non hai la meta? Si può lanciare in aria la classica monetina e come và và. E non è del tutto un modo da disdegnare. Ci avete mai provato? Io sì! E vengono fuori dei percorsi alquanto inaspettati. (Per carità! Non mi sono certo messa a girare l'Italia con un sacchetto di monetine in mano -perchè regolarmente uno o due si possono perdere-; ma qualche giretto in campagna così certo che l'ho fatto. Soprattutto da bambina).

Dunque: le monetine sono utilissime, ma lo scopo è il viaggio, non l'arrivo. Da non disdegnare, assolutamente mai. Ma in un racconto o in un tema non si procede di molto.


In un racconto si deve avere ben chiaro qualcosa. In primis quel qualcosa.

Perchè se ci si mette davanti ad un foglio senza le idee (chiare- o almeno vagamente adombrate nella nebbia) si rischia di girare e girare e contribuire all'aumento del disboscamento mondiale e alla produzione di inchiostro. Ma una storia sensata non ne esce. Proprio no.

Ci vuole una cartina, ecco.

Una bella cartina (possibilmente SEMPLICE. Perchè di tempo per complicare le cose ce n'è sempre molto. Anche una strada di dieci minuti), con nomi di capoluoghi, paesini e qualche noticina morfo-idrologica che fa capolino qua e là. Giusto per ricordarsi che c'è qualcosa, oltre la sctriscia d'asfalto (inchiostro).

In termine "tecnico" si chiama SCALETTA. Ed è l'incubo dei ragazzi in età compresa fra gli undici e i diciannove anni. Era anche il mio incubo personale. Perchè mi mettevo con le migliori intenzioni e poi, puntualmente, se avevo deciso A usciva B. L'unica cosa positiva era che usciva qualcsa di sensato. E piano piano ho messo a posto il problema, ormai.
Cicerone insegnava bene, e con lui la retorica antica: MAI parlare, se non sai davvero cosa dire. in caso contrario, meglio un dignitoso e composto silenzio (che evita anche colossali figuracce). Allora c'erano inventio, dispositio, elocutio, actio e memoria. E scrivere e recitare un testo era uno spettacolo, nel vero senso della parola. Nulla era lasciato al caso, fin dal più piccolo gesto (come far denudare il petto di un uomo accusato durante un processo).
Oggi non si arriva, sui banchi di scuola o nel quotidiano, a un simile pathos, ma la coerenza non deve finire per questo alle ortiche.
Gli antichi avevano gli Aristotele e i Quintiliano, e noi abbiamo Severgnini, con il suo più rustico ed efficacie P.O.R.C.O. ovvero:


P ensa (aspetta a scrivere: prima decidi cosa dire)
O rganizza (elenca i punti da toccare = scaletta con connettivi)
R igurgita (butta fuori, senza pensarci troppo)
C orreggi (e rileggi con calma, almeno due volte); O metti (togli tutto ciò che non è necessario).

Un buon punto di partenza, no? (Praticamente la sclatetta della scaletta)

lunedì 1 settembre 2008

Dentro la notte



Tánic sam slán sóer
díambi clóen cail cíar,
lingid ag seng snéid,
díambi réid rón rían.

Canaid cuí céol mbinn mblaith,
díambi súan sáim séim,
lengait éoin cínin crúaich
ocus dailm lúaith léith.

Foss n-oss rogab tess,
gáir dess cass cúan,
tibid trácht find fonn,
díambi lond ler lúath.

Fúam ngaeth báeth barr
dairi duib Drum Daill,
rethid graig máel múad,
díambi dín Cúan Caill.

Maidid glass for cach luss,
bilech doss dairi glaiss:
tánic sam. rofáith gaim,
gonit coin cuilinn caiss.

Canaid lon dron dord
díambi forbb caille cerbb,
súanaid ler lonn líac,
foling íach brec bedc.

Tibid grían dar cach tírm
dedlai lim fris-sil snom,
gárit coin, dáilit daim,
for-berat brain, tánic sam.

Finn MacCumaill, L'Estate è venuta, IX sec.




C'erano i fuochi, questo fine settimana, sotto il castello.
E il fumo scendeva giù fino a casa. Resina e legno. E violini, arpe, tamburelli. Un qualcosa di vivace e assieme infinitamente malinconico.
Mi sono seduta sul prato, sabato sera. Fra tante persone. E ho chiuso gli occhi.
Sarà colpa di Tolkien (finalmente l'ho iniziato!), sarà colpa del fatto che, ultimamente, ho voglia di immaginare. Non lo so.
Ma queste serate dedicate alla magia celtica mi sono piaciute. Molto.
Davvero molto.
Ho anche ceduto alla tentazione: una collana elfica.
Con un pendaglio elaborato attorno ad una pietra nera. Ce n'erano tanti, di colori. Ma io ho voluto il nero. Stava bene. E ques'inverno, in facoltà, mi ricorderà l'ultimo giorno d'Agosto.

Promemoria per me: cercare di rintracciare su Internet il sito di mitologia nordica e slava che avevo individuato qualche mese fa. La vedo dura...
 

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