sabato 21 giugno 2008

Litha o del Solstizio d'Estate







Sia glorificata la Madre e la Sposa,



dea della Vita e dell'Amore,



maestra di conoscenza e magia.



Non c'è parte del mio corpo che



non sia degli dei.



Discendi, oh Dea, su questa tua figlia.















Ho sempre amato il giorno del mio compleanno.
Intendendo proprio la data. Il 21 di Giugno. Il solstizio d'estate.
Ho tantissimi significa reconditi, in tutto il mondo.

Nel pensiero neopagano, la festa si chiama Litha una parola che racchiude un crogiulo di valenze e simboli.

Litha corrisponde al fenome stagionale del solstizio d'estate, ed è esattamente speculare per caratteristiche e valenze al solstizio d'inverno. Di nuovo, il sole si ferma, ma questa volta a svantaggio dell'Oscurità, che si vede relegata ad una piccola parte nel giorno più lungo dell'anno.

La parola deriva probabilmente da Ligo, Ligo, un ritornello cantato dalle popolazioni nordiche durante la ricorrenza. Gli antichi sassono, infatti, accendevano falò e ballavano nelle foreste commemorando la felicità per il Ritorno della Luce, intrecciando corone e addombando le soglie delle case con rami di betulla e fiori benaugurali. Inoltre, si brindava con idromele, una bevanda alcolica a base di miele e acqua fermentata; in Scozia invece si avviavano giochi e gare artistiche, e si celebrara lo spirito del grano, John Barleycorn, bruciando fantocci rappresentanti la sua forza infuocata e ritornata.

Mentre in Yule il Re Agrifoglio vince contro il Re Quercia, in Litha le sorti del duello si capovolgono, ripristinando l'equilibrio dei contrari sulla terra. Una tradizione comune radicata in tutte le popolazioni è la raccolta delle erbe che si credono benedette dalla ruggiada magica di Giugno. E' il caso delle usanze della Festività di San Giovanni, festa cristiana che si è sovrapposta a Litha per eliminarne il culto; la ruggiada ha la parte dominante in questi rituali, come ingrediente principale della magia stagionale.

In Giappone si celebra la festa di Tanabata o festa del Settimo Giorno, rallegrandosi dell'unione del dio Hikoboshi e della dea Orihime. Secondo la leggenda un giovane vaccacio (secondo altri un toro) scorse casualmente delle dee che si bagnavano in un lago e spinto da un suo amico decise di rubar loro le vesti. Le fanciulle, scoperto il furto, mandarono la sorella più giovane e bella, Orihime, alla ricerca dei kimono, e il pastore intenerito restituì gli abiti, ma avendola vista nella sua nudità fu costretto a sposarla. Il matrimonio, sorprendentemente, si rivelò felice: Hikoboshi dimostrava una grande dedizione alla famiglia, mentre Orihime si occupava della casa con amore fervente. Tuttavia, la dea del cielo impose il ritrono di Orihime nel suo mondo, irritata che un essere immortale avesse sposato un mortale. All'opposizione dei due innamorati, la dea dispose in cielo un enorme fiume che li avrebbe divisi per sempre, la Via Lattea; successivamente colta da rimorso, permise ai due amanti di inconrarsi una volta all'anno (il settimo giorno del settimo mese del calendario lunisolare).

I protagonisti del mito rappresentano il Triangolo , costellazione visibile nel cielo estivvo, formato dalle stelle Vega, Altair e Daneb, con le prime due che solitamente sono divise dalla Via Lattea, che però sembra spostrsi in questo giorno, facendo rincontrare i due amanti, mediante un ponte di gazze.
Secondo la tradizione, in questo momento magico i desideri possono diventare realtà, per cui vengono scritti in forma di poesia su strisce di carta, appese poi a rami di bambù e bruciate allo scoccare della mezzanotte. Una caratteristica, è la creazioni di composizioni cartacee simili agli origami e regalati come simbolo di buon auspicio.

In Egitto viene festeggiato Wadjet, la dea serpente che protegge il Faraone e la sua famiglia. La festività si concentrava sul suo aspetto solare e materno, venendo associata a Bastet e Mut, la Grande Madre. Il serpente aveva un valore esoterico rilevante in Egitto, in quanto rappresentazione zoomorfa del Sole (cobra) e simbolo di resurrezione.
Wadjet, secondo alcuni recenti studi, è una delle divinità più antiche del periodo egizio predinastico (Paleolitico, 3100 a. C.), guardiana e governatrice del Basso Egitto prima dell'unificazione. Il magico e regale ureo che sormontava la corona dei Faraoni era una rappesentazione di Wadjet, indicando la forza del sovrano e la sua discendenza da Ra.
E proprio il dio del Sole, secondo la tradizione, sarebbe nato il giorno del solstizio d'estate, dando così avvio anche al nuovo anno solare.

Nell'antica Roma si festeggiava il dio Fros, corrispondente maschile di Fortuna; i mercanti esponevano al merce migliore e invocavano la protezion degli dei.

In Grecia il testimone stagionale passava da Dioniso ad Athena. Durante la plunteria (viaggio sacro) la statua di Atena Polias (della città) veniva condotta presso un corso d'acqua e putificata, il peplo era rimosso assieme ai gioelli e durante il tragitto venivano offerti fichi fresci, portati da fanciulle sacre in cesti consacrati. Le Lautrides, donne scelte per officiare il rito e uniche con il permesso di vedere la dea nuda, durante il bagno rituale pregavano per la città, sguranita temporaneamente della sua protettrice e quindi possibilmente soggetta a pericoli.

Litha è indubbiamente il sabbia più magico ed affascinante dell'intera ruota dell'anno. Le fate si manifestano suall terra ballando attorno alle campanule, la luce solare forte del suo rinato potere riscalda la Natura sorridente e rigogliosa.

Nella teologia wiccana è il momento del trionfo definitivo della Luce, la Coppia divina ha raggiunto la sua massima espressione e manifesta l'equilibrio cosmico tramite l'effervescenza dell'estate. Gli antichi popoli nordici consideravano Litha come la realizzazione delle loro suppliche, in quanto credevano che l'estate inizaisse a Beltane e a Litha si manifestasse la sua potenza infuocata. La Dea diventa la Madre, la Gravidanza, e si prepara la prossimo inverno perpetuando eternamente il ciclo stagionale.





Ballo sul Grembo della Dea,
ballo sul Calderone della Vita,
benedicendomi con il tocco di questa
acqua consacrata mentre il Sole,
Signore della Luce, arriva nella sua forza
e nel segno dell'Acqua della Vita.





venerdì 20 giugno 2008

Una passerella deprimente

Lo studio: strumento per costruire la propria libertà,
educazione
dell'ingegno e della creatività al lavoro,
ma soprattutto occasione
privilegiata di capire la vita.

Enrico Palandri





Un errore può accadere.
Una parola che salta; un accento dimenticato; un numero scritto male. Nessuno ci presta veramente attenzione. Si strizzano gli occhi, si arriccia il naso; una scrollata di spalle e si va avanti. Archiviato. Fra i ricordi un po' amari un po' divertenti. Fra quei pensieri da rievocare dopo anni. Magari davanti ad una pizza, con qualche ruga che una volta non sapevi cosa fossero e la voce roca dal fumo di troppe sigarette.
Ricordi, appunto.
Un errore ci può stare. Nessuno è perfetto, nemmeno i computer (tanto più che siamo noi a digitare). E' già accaduto, in passato. E. probabilmente, accadrà ancora. Nulla di sconvolgente. Nulla di anormale.
Ma quando l'errore non è semplice svista, meglio è una di quelle sviste che si possono tranquillamente definire, senza timore di esagerare, "madornali"? Ci si arrabbia, certo. Ci si sente presi in giro.
Ma ancora si può accettare. Si può...sopportare. Ci si rifà; c'è la seconda possibilità, il muro da scavalcare.
Se però, alla fine, in quella busta chiusa, sigillata, c'è un foglio pieno di strafalcioni, di mancanze, di distrazione, la rabbia non ha neanche più senso. C'è amarezza, delusione, sconfroto.

Maturità 2008.
Prima tema: Italiano.
Per rompere un po' il ghiaccio. Prendersela con Internet che ha gettonato la prosa, che ha sbandierato Svevo e Pirandello dopo quattro anni di poesia non serve a molto. Sono semplici pronostici. Ci si diverte a provare a indovinare. Come quando si va all'ippodromo e si prova a capire quale cavallo taglierà per primo il traguardo. Puoi non aver puntato nulla, ma ti piace provarci lo stesso. ti piace accendere l'adrenalina della sfida.

Montale. Va bene. Può andare. Programma dell'ultimo anno; seconda volta in cinque anni (maturità 2004, cinque includendo quella in corso N.d.R), ma anche Dante si è ripetuto due volte con intervallo di un solo anno. Sì: va bene.
Poesia: da Ossi di seppia, prima raccolta. Bene: quella che, forse, viene maggiormente affrontata, sviscerata. Eppure, si è rivelata una trappola. Una stupenda trappola, forse inconsapevole, che sembrerebbe una barzelletta se non fosse la tragica, sconcertante verità.

Tralasciando l'errore disdicevole e da matita blu contenuto nella breve nota bibliografica (Montale ha avuto un iniziale periodo influenzato dall'ermetismo?), la poesia, di per sè ricchissima di bellissimi spunti, si vede affiancare una serie di domande interpretative che dire imbarazzanti è riduttivo. E i ragazzi si lanciano in pindariche prove di identificazione di elementi che lascino intravvedere eteree donne-angeliche, supportano tesi di salvezza e consolazione di figure evanescenti che si vedono rivolte aggettivi al maschile (sempre considerando che davvero si possa parlare di consolazione nella poesia di Ossi di seppia, almeno della stessa consolazione che traspare con l'avvento delle donne angeliche di dantesca memoria), rincorrono simboli e figure di cui sono chiamati a ricercare il significato.

Dov'è l'errore? Ma semplicemente nelle domande poste. Per il fatto, banale, che la poesia proposta è una delle poche, se non l'unica, che Montale dedichi ad un uomo! Ma naturalmente, la dedica, sempre ben presente nelle edizioni per precisa volontà dell'autore (A K., dal cognome di Boris Kniaseff, ballerino russo incontrato da Montale e dedicatario della poesia), è stata omessa per gentile concessione. Meglio sorvolare sulla pietosa assenza di rispetto per il testo.
Nulla di sconvolgente, drammatico o con valenze ambigue che avrebbero potuto far storcere il naso a qualche puritano. Semplicemente, Montale fra le tante immagini della sua prima poetica che potevo costituire l'anello che non tiene, ha inserito, riconosciuto meglio, la danza. E un ballerino, il dedicatario della poesia appunto.
Forse si poteva parlare di salvezza, ma certamente non di Clizie, Volpi o altre donne angeliche imperversanti nel testo proposto e del loro ruolo consolatorio.

Primo errore, quindi. Perchè definire svista alcune gaffe che un conoscitore medio di Montale dovrebbe sapere è un'offesa all'autore.
E se non bastasse, basta scorrere un altro po' i titoli per ricaderci. Nulla di così catastrofico, questa volta, certo, ma pur sempre un errore. Il Galata morente del tema artistico letterario è una copia romana di un originale ellenistico, probabilmente in bronzo, non una statua romana. Va bene: una sottigliezza, una pignoleria. Ma non si richiede sempre la precisione, l'attenzione ai ragazzi?

Giovedì 19 Giugno
Seconda prova: tema di greco (posso parlare di questo per conoscenza della lingua)
Luciano. Codice etico per lo storico, paragrafo 41.
Si inizia. Tempo: quattro ore.
E già si trova il primo errore: mancano tre parole. Va bene. Già capitato (maturità 2004; la versione era di Platone). Procedere. Altro errore: un "ti" perso per strada. E poi spiriti che fanno gli spiritosi con capriole fastidiose; accenti che saltano e...
Si continua.Totale: sei errori accertati (un settimo passiamolo sotto silenzio, come sbavatura della fotocopia; anche perchè un punto in alto, lì, proprio non avrebbe avuto senso).
Risultato? Ragazzi costretti a rendere e riprendere in mano la traduzione, e conseguente crisi da traduttore in una sede che non è proprio quella indicata per farsi cogliere da dubbi e problemi esistenziali sulla qualità della propria preparazione.
L'ispettrice è stata rimossa dal suo incarico; e il ministro dell'istruzione ha nominato il sostituto. un provvedimento che andava preso, ma che ha il sapore della classica toppa riparatrice. Per salvare, se non la dignità, almeno le apparenze.
Perchè su quelle prove, gli ispettori, ci dovrebbero lavorare da Gennaio. E se un qui pro quo è passabile; se una parola saltata o uno spirito che si è volatilizzato sono inconvenienti accettabili, non resta molto da commentare su cadute simili. Specialmente in virtù del fatto che un esame di maturità non si improvvisa dall'oggi al domani.
E non tanto per la magra figura fatta dai responsabili, quanto piuttosto per semplice rispetto. Verso ragazzi che devono affrontare la prima vera prova seria della vita scolastica; verso persone che si sono sentiti ripetere per cinque anni regole, critiche, esortazioni alla precisione e all'attenzione, e si ritrovano defraudati della dignità della serietà.
Errori se ne possono fare. Se ne continueranno a fare. Ma questi errori, concentrati in una sola maturità, in numero così elevato, lasciano molto da pensare.
Sull'esempio che viene dato, che ci viene dato.
Perchè saranno anche i diciannovenni a dover affrontare quegli scritti, ma ogni anno, in quei quattro giorni, siamo anche noi a rifare la maturità, a riaffrontare una prova. Più o meno consapevolmente. Ma se questi sono i risultati...Non c'è nemmeno la rabbia o la delusione. Solo una stanca rassegnazione.
______________________________
Perdonate lo sfogo e il ritardo nel farlo, ma mi sono decisa solo adesso. All'ultimo.
Perchè fino all'ultimo non volevo crederci. Non potevo crederci.
Mi scuso anche per aver riferito solo, nella seconda prova, del tema di greco, ben sapendo dai telegiornali della presenza di altre perle in ulteriori prove. Non avendo, soprattutto per inglese, la possibilità di verificare direttamente, lascio a voi la riflessione.
Perchè è solo questo che volevo, vorrei, proporre. Una riflessione.
Su quello che si chiede, che si pretende, e come poi, in un attimo, ci si possa sentire presi in giro.
Alla vostra cortesia

sabato 14 giugno 2008

Perdersi


E siedo sul bordo

della mia vita.


Davanti a un salto

che forse farò.


Con il ricordo di uno sbaglio

immenso.


Mentre l'aria mi porta via

e il corpo si accortoccia.


Lontano. Distante.

Smarrito.


Mi resta questa consapevolezza

amara:


ho sbagliato.

venerdì 13 giugno 2008

Solitude




Au clair de la lune, mon ami Pierrot
Prête-moi ta plume,
pour écrire un mot.
Ma chandelle est morte, je n'ai plus de feu.
Ouvre-moi ta porte, pour l'amour de Dieu.


Au clair de la lune, Pierrot répondit
Je n'ai pas de
plume, je suis dans mon lit.
Va chez la voisine, je crois qu'elle y est
Car dans sa cuisine, on bat le briquet.


Au clair de la lune, l'aimable Lubin
Frappe chez la
brune, elle répond soudain
« Qui frappe de la sorte ? », il
dit à son tour
« Ouvrez votre porte pour le Dieu d'Amour »


Au clair de la lune, on n'y voit qu'un peu
On chercha
la plume, on chercha du feu
En cherchant d'la sorte je n'sais c'qu'on trouva
Mais je sais qu'la porte sur eux se ferma.



In latino, maschera si dice persona.

Sono sempre rimasta sorpresa di questa etimologia. la consapevolezza che, su un palco, non si è sè stessi, ma ci si trasfigura in altro. In un personaggio che è tutto quello che si vuole.

E fra le maschere, quella che più mi affascina è Pierrot.


E' strano. Solitamente, alla parola maschera si associa il carnevale, il riso e l'allegria. Si sente profumo di grostoli (o chaicchere), il colore dei coriandoli e la raffinatezza di Venezia. Con carnevale si pensa agli scherzi, all'allegira, quasi una festa dei folli.


Pierrot no. Pierrot è la maschera della vita. E la adoro per questo.

Con larghi pantaloni di lucida seta bianca, ampio colletto, lunga casacca guarnita di grossi bottoni neri, papalina sul capo, il volto pallido. La piccola bocca rossa e un'espressione triste. E una lacrima. Quella sola lacrima che scende sulla guancia. Nera.

Nera come il rimpinto, come il peso della consapevolezza, come l'abisso della solitudine.


Pierrot è stata la prima maschera che ho indossato, e che forse continuo a sentirmi addosso. Molto romantica, con quell'aria da innamorato malinconico e dolce. Eppure, così vera.

Perchè nasconde l'essenza. Pierrot è la maschera del dopo spettacolo. Eì la faccia triste e un po' amara, gli occgi rassegnati e consapevoli dell'uomo che ha appena finito di far ridere. Del pagliaccio e del clow che hanno fatto del sorriso la loro dannazione.

Qualche tempo fa, mi chiedevo perchè il clow potesse far paura.

Adesso, penso di averlo capito: con la sua bocca larga e sorridente, con la sua ostentata e impossibile allegria è l'incubo di una felicità e leggerezza che non esiste. E il bimbo ne ha paura. Perchè sa che è un fantasma, un mostro, un qualcosa che non è normale.


Preferisco Pierrot.

La sua relatà un po' disullusa e semplice; quella lacrima sola e consapevole. Quello sguardo che non smette di sognare, ma non si illude che si possa concretizzare anche il più semplice dei pensieri.


Mi viene in mente Luci della ribalta.

Da guardare. Sicuramente.

Un Pierrot senza maschera, cerone e vestito. Ma con la stessa malinconia e solitudine della vita.

venerdì 6 giugno 2008

Rosso

In latino "rubens", il colore rosso è sinonimo di colorato. È il primo colore dell'arcobaleno che i neonati imparano a riconoscere, il primo a cui tutti i popoli hanno dato un nome.È il colore del movimento e dell'attività .La luce rossa è infatti quella con un intervallo di lunghezze d'onda più ampio e per tale motivo le sue vibrazioni possono avere un effetto stimolante.Il rosso è il colore che può muoversi più rapidamente trattenendo legato a sé lo sguardo. E' stato dimostrato che l'esposizione al rosso accelera i battiti cardiaci e stimola la produzione d'adrenalina. Il rosso è stato abbinato a Marte, il dio della guerra e il pianeta rosso, per la sua natura aggressiva e per la sua associazione al colore del sangue. Il rosso è simbolo del cuore e dell'amore, del dinamismo e della vitalità, della passione e della sensualità, dell'autorità e della fierezza. Nell'arte paleocristiana si dipingevano di rosso gli arcangeli e i serafini.


Rossi:




  • un papavero che declina


  • un carillon un po' barocco


  • una bomboniera sgualcita


  • la bocca di una bambola appassita


  • un ombrello nella nebbia


  • i petali di un gardenia morta


  • la luna di un sogno

A voi continuare...

 

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