venerdì 13 giugno 2008

Solitude




Au clair de la lune, mon ami Pierrot
Prête-moi ta plume,
pour écrire un mot.
Ma chandelle est morte, je n'ai plus de feu.
Ouvre-moi ta porte, pour l'amour de Dieu.


Au clair de la lune, Pierrot répondit
Je n'ai pas de
plume, je suis dans mon lit.
Va chez la voisine, je crois qu'elle y est
Car dans sa cuisine, on bat le briquet.


Au clair de la lune, l'aimable Lubin
Frappe chez la
brune, elle répond soudain
« Qui frappe de la sorte ? », il
dit à son tour
« Ouvrez votre porte pour le Dieu d'Amour »


Au clair de la lune, on n'y voit qu'un peu
On chercha
la plume, on chercha du feu
En cherchant d'la sorte je n'sais c'qu'on trouva
Mais je sais qu'la porte sur eux se ferma.



In latino, maschera si dice persona.

Sono sempre rimasta sorpresa di questa etimologia. la consapevolezza che, su un palco, non si è sè stessi, ma ci si trasfigura in altro. In un personaggio che è tutto quello che si vuole.

E fra le maschere, quella che più mi affascina è Pierrot.


E' strano. Solitamente, alla parola maschera si associa il carnevale, il riso e l'allegria. Si sente profumo di grostoli (o chaicchere), il colore dei coriandoli e la raffinatezza di Venezia. Con carnevale si pensa agli scherzi, all'allegira, quasi una festa dei folli.


Pierrot no. Pierrot è la maschera della vita. E la adoro per questo.

Con larghi pantaloni di lucida seta bianca, ampio colletto, lunga casacca guarnita di grossi bottoni neri, papalina sul capo, il volto pallido. La piccola bocca rossa e un'espressione triste. E una lacrima. Quella sola lacrima che scende sulla guancia. Nera.

Nera come il rimpinto, come il peso della consapevolezza, come l'abisso della solitudine.


Pierrot è stata la prima maschera che ho indossato, e che forse continuo a sentirmi addosso. Molto romantica, con quell'aria da innamorato malinconico e dolce. Eppure, così vera.

Perchè nasconde l'essenza. Pierrot è la maschera del dopo spettacolo. Eì la faccia triste e un po' amara, gli occgi rassegnati e consapevoli dell'uomo che ha appena finito di far ridere. Del pagliaccio e del clow che hanno fatto del sorriso la loro dannazione.

Qualche tempo fa, mi chiedevo perchè il clow potesse far paura.

Adesso, penso di averlo capito: con la sua bocca larga e sorridente, con la sua ostentata e impossibile allegria è l'incubo di una felicità e leggerezza che non esiste. E il bimbo ne ha paura. Perchè sa che è un fantasma, un mostro, un qualcosa che non è normale.


Preferisco Pierrot.

La sua relatà un po' disullusa e semplice; quella lacrima sola e consapevole. Quello sguardo che non smette di sognare, ma non si illude che si possa concretizzare anche il più semplice dei pensieri.


Mi viene in mente Luci della ribalta.

Da guardare. Sicuramente.

Un Pierrot senza maschera, cerone e vestito. Ma con la stessa malinconia e solitudine della vita.

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