lunedì 2 luglio 2007

Sulla banalità...




Ho visto
la gente della mia età andare via
lungo le strade che non portano mai a niente
cercare il sogno che conduce alla pazzia
nella ricerca di qualcosa che non trovano nel mondo che hanno già.
Lungo le notti che dal vino son bagnate
dentro le stanze da pastiglie
trasformate.
Lungo le nuvole di fumo, nel mondo fatto di città,
essere
contro od ingoiare la nostra stanca civiltà.
E un Dio che è morto.
Ai bordi delle strade Dio è morto
nelle auto prese a rate Dio è morto
nei miti dell'estate Dio è morto.
Mi han detto che questa mia
generazione ormai non crede
in ciò che spesso han mascherato con la
fede
nei miti eterni della patria o dell'eroe
perché è venuto il
momento di negare tutto ciò che è falsità .
Le fedi fatte di abitudini e
paura.
Una politica che è solo far carriera
il perbenismo interessato,
la dignità fatta di vuoto
l'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione
e mai col torto.
E un Dio che è morto
Nei campi di sterminio Dio è morto
coi miti della razza Dio è morto
con gli odi di partito Dio è morto.
Ma penso
che questa mia generazione è preparata
a un mondo nuovo
e a una speranza appena nata
ad un futuro che ha già in mano, a
una rivolta senza armi
perché noi tutti ormai sappiamo che se Dio
muore è per tre giorni
e poi risorge
in ciò che noi crediamo Dio è risorto
in ciò che noi vogliamo Dio è risorto
Nel mondo che faremo
Dio è risorto,
Dio è risorto.




Francesco Guccini






Forse ci si chiederà perché ho deciso di iniziare questa riflessione con il testo di una canzone…Non sono una patita di musica, e quella che ascolto e conosco è filtrata attraverso i miei interessi universitari in maggior parte. Questa canzone, scritta da Francesco Guccini, che adoro per l’andamento poetico dei suoi testi, e cantata dai Nomadi, è un vecchio successo, che forse voi probabilmente già conoscete; io l’ho sentita per caso alla radio di un bar, mentre pranzavo. E mi ha trafitto. Sì. Proprio trafitto.

Il motivo? Banale: quanta forza può esserci in ovvietà sbattute in faccia alla gente? Sul ritmo di note incalzanti, che ti trascinano facendoti battere il cuore alla follia? Forse queste mie parole sono un’accozzaglia di luoghi comuni, utili solo a riempirsi la bocca o le righe di questa mail.

È vero. Quelle che dico sono ovvietà. Ma lo sono anche le parole che si susseguono in quella canzone. E allora, perché ha avuto successo? In fondo, non dice nulla di nuovo. Parole trite e ritrite. Che la nostra società si regga su basi individualistiche e arrivistiche è ormai una realtà consolidata. Forse ovvia. Perché l’uomo, benché sia un “animale politico” come amava definirlo Aristotele, è anche per natura egocentrico. Attenzione. Non voglio dare un giudizio di condanna; semplicemente, credo che ogni azione, anche la più disinteressata, rientri in un circuito mentale che comunque ha come referente sempre e solo la persona che compie il pensiero stesso. Anche se a livello di subconscio.

Per me, che studio di una civiltà in cui l’opinione altri era il perno del proprio atteggiamento, una “civiltà di vergogna”, come la definisce Hawelock, dove il mito e le chimere partorite dalla mente sono realtà incontrastabili, sicurezze certe e inequivocabili, vedere la degenerazione della figura del mito al semplice calciatore o alla cantante in auge al momento, significa andare a sbattere con lo sfacelo del mondo; un mondo in cui la gente si lascia trascinare, in cui l’importante, l’indispensabile, è conformarsi. Al momento vanno di moda i reality? Benissimo! Tutti appassionati di reality allora.

E’ questa la capacità di pensare cui ci dovrebbero abituare 4000 anni di storia, di pensiero, di filosofia? E’ questo il mondo in voglio vivere? Non ho pretese di cambiarlo, perché so che razionalmente non posso farlo. Però, mi basta restare fedele a me stessa, a costo di sentirmi criticare e sbeffeggiare, a costo di far la figura dell’ignorante perché non conosco il nome del protagonista dell’ultimo scandalo. Non è questo quello che voglio sapere. Non è questo che mi mostra la realtà.

E allora, ben vengano anche le parole abusate di una canzone, che almeno hanno il merito della banalità. Già, la banalità…Quante volte, i professori ci hanno detto di rifuggire dai pensieri comuni? Che “Dio è morto, che la società non ha più ideali…” sono opinioni diffuse. Consolidate. Ma forse proprio per questo, ormai ci scivolano addosso senza più toccarci. Io non ritengo che sia giusto procedere di luogo comune in luogo comune, ma sono convinta che anche la banalità abbia la sua importanza.

Il fatto che un pensiero sia sopravvissuto uguale nel tempo, sia stato sbandierato e riproposto fino alla nausea, non significa assolutamente che sia il prodotto di una retorica vuota e disillusa. Io sono fermamente convinta che la banalità sia importante. Intendiamoci: adesso non voglio dire che tutti dobbiamo abbandonarci alla mediocrità di pensiero. Ma neanche ignorare i messaggi che ossessivamente ci vengono fatti rimbalzare in testa. Cosa si nasconde dietro l’apparato convenzionale di una frase? Perché quella frase, adesso? Per quale motivo? Forse sto semplificando troppo la cosa, ma io sono una ferma sostenitrice “dell’importanza del banale”. Senza affondare nel convenzionale.

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