sabato 8 settembre 2007

Il cielo sopra Berlino

Mi piacerebbe vedere la tua faccia, giusto per guardarti negli occhi e dirti
quanto è bello essere qui…Quaggiù è bello fumare, prendere un caffè…e se lo fai
insieme è fantastico.

Peter Falk, nel ruolo di se stesso.



Wim Wanders. Maggio 2004.
Fu la prima volta che vidi questo film. La prima, grazie alla creatività del mio professore di italiano.


Una fascinazione che sfiora la filosofia, sale nelle pieghe dell’immaginazione e scende nei recessi dell’ovvietà.

Un film. Un insieme di scene trasportate su una striscia di cellulosa. Fotogrammi montati con pazienza ed arte. Splendido. Complesso, ma mai complicato. Come sono tutte le cose. Come dovrebbero essere molte cose.

Un inno.
Alla semplicità e alla bontà. Un freccia spezzata per quella banalità, per la naturalezza e la consuetudine della quotidianità che viene persa nelle pieghe di una vita che, alla fine, non viene vissuta.

Straniante.
Sentimenti conosciuti ritratti per intuizione; livello fisico ed emozionale. Temi che si intrecciano, malinconia, riflessione, dolcezza. Dolore. Rassegnazione e speranza.

Impotenza.
Davanti a qualcosa che non si capisce; davanti alla voglia di capire. E di cercare di farcela.

Tematiche. Molte.
L’infanzia, l’amore, l’identità, l’introspezione, la memoria, la possibilità di decidere…Sono molte, e non tutte facilmente afferrabili, in una trama che scorre lenta e languida sullo schermo nelle sue sfumature di chiaroscuro.

Bianco e nero. E grigio. Come la vita che sfiora il cuore di ciò che la muove, che la rende degna di esser vissuta.

I colori. Alla fine. Quando, finalmente, la corazza degli angeli diventa troppo pesante e precipita al suolo. Diventa una semplice armatura, buona solo per esser impegnata.

Chi sono io?

Basta questa semplice, ingenua, infantile domanda. È questo il fulcro della narrazione. È una domanda pericolosa. Scomoda. Perché significa affrontare se stessi. Mettersi in discussione. E, forse, restare intrappolati in un labirinto, in un circuito mentale che noi stessi creiamo, dimenticandoci di pianificare anche l’uscita.

Eppure, porsela è all’origine del dubbio, del gusto dell’uomo si sfidare. Chiunque. Anche se stesso.

Una fiaba. Dolce, lenta, struggente. Agrodolce. Come quelle dell’infanzia. Con angeli umani che scendono sulla terra, con un uomo che porta la memoria smarrita del passato, con la speranza della resurrezione fra macerie di muro e sterpaglie.





Quando il bambino era bambino, si strozzava con gli spinaci, i piselli, il
riso al latte e con il cavolfiore bollito. E adesso mangia tutto questo, e non
solo per necessità. Quando il bambino era bambino, una volta si svegliò in un
letto sconosciuto, e adesso questo gli succede sempre. Molte persone gli
sembravan belle, e adesso questo gli succede solo in qualche raro caso di
fortuna. S'immaginava chiaramente il Paradiso, e adesso riesce appena a
sospettarlo. Non riusciva a immaginarsi il nulla, e oggi trema alla sua idea.
Quando il bambino era bambino, giocava con entusiasmo, e adesso è tutto immerso nella cosa, come allora, soltanto quando questa cosa è il suo lavoro.

1 commento:

MicZ ha detto...

Bè, al di là di averlo fatto a scuola, è proprio un gran film, davvero. Bisogna scoprirne altri.
mics.splinder.com

 

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