mercoledì 18 luglio 2007

Una vetta...

Quanto manca alla vetta?
Tu sali e non pensarci!


F. W. Nietsche




La vetta...


L'approdo di un porto. Il tragurdo. Lo scopo.




Quanti modi esistono, per definire il proprio obiettivo? Tanti. Tantissimi. E l'immagine è quella di una linea che divide. Che separa. Sempre. Inesorabilmente. Prima e dopo. E' e non è. Si arriva a qualcosa. A qualcosa che si è sempre voluto. Ma ha davvero senso stringere in mano il proprio sogno?



La vetta è là. Davanti agli occhi. davanti alla mente. Riluce, sfavilla, sprona. Vuoi vederla sotto di te. Vuoi poter urlare: Ecco, ce l'ho fatta. Sono arrivata. Ho vinto. Vuoi sentire il sogno frantumarsi fra le dira, scivolare di seta fra le pieghe della pelle...Vuoi sentire.


Concretezza. Certezza. Realtà. Vuoi il sogno mutato in realtà. Vuoi l'eternità di un songo. Immobilità. Separare il prima dal dopo. Scindere. Dividere. Gettare via tutto e lasciare fisso solo quel puntino: l'arrivo.




Ci sono molti obiettivi, in una vita, molti traguardi: i primi passi, la prima parola; la maturità, la laurea; il lavoro, la vita...Ci sono molte tappe nella nostra vita...Scatti nella memoria, istantanee che sbiadiranno col tempo, regalandoci solo l sfumatura di un ricordo...Solo l'emozione di una sensazione appagante.




Ci sono molti obietivi, nella vita. Ma cosa vale, veramente? Il sogno o la realtà? Cosa resta, se tocchi il sogno? Se superi il tragurdo?




Voltati. Vedi: sacrificio, cocciutagine, deternimazione. Vedi rabbia, sorrisi, volgia, speranza. Vedi una fiamma. una fiamma discreta come il pigolio di una stella. Vede te stessa. Fragile. Finita. Debole. Sai cosa temi, vero?




Sì. Lo sai: lo hai sempre saputo.




Temi il dopo. Temi il nulla. Temi il sogno toccato. Perchè sei consapevole che poi tutta combia. Non muta niente, ma qaulcosa è cambiato. E lo senti solo tu. Lo provi solo tu. Non ha nome, non ha forma, non esiste in relatà. La tua mente lo proietta, lo crea, lo costruisce.




A te sfatare la falsità dell'illusione.




A te sapre che, giunta alla vetta, davanti avrai una distesa nuova. Ripida. Una nuova montagna. Una nuova vetta. La vedi, la vetta? Certo. E' lì. Lì davanti agli occhi. Alza la mano: ti sempbra ti poterla racchiudere nel palmo, di sentire il freddo dei suoi ghiacciai, il calore del sole che la inonda.




ALza la mano. Tendi la tua mano. E riprendi a salire. Non importa quanti tragurdi supererai. Non importa mai. Non lasciare, però, che quello che ti si spalanchi davanti sia il vuoto. Il vuoto della disillusione. Lascia che si mostri il vuoto del sogno, il contorno lattiginoso della sfida. L'adrenalina della gara. Con te stessa. Solo con te stessa.




Continua a salire. Non importa quanto ci vorrà. Non importa se non arriverai mai. Concentrati. LA vetta fose non la toccherai. Mai. Ma ci sono le sporgenze. Ci sono le cime che crescono piano, che crescono con te.




Concentrati. E vivi. Vivi l'istnate, il gioco e la sfida. Vivi la tua sfida. Appieno. Solo. Tutta. Dentro. Assapora la tensione, gusta il tremore. Mangia la tua pura. Dissetati della tensione. Ricorda. Ricordati bene. Sono isntati che fuggono, ma restano in te. Sempre




Quanto manca al traquardo?


Al prossimo, poco.




Quanto manca alla vetta?


Una vita.


La mia vita.


venerdì 6 luglio 2007

Scorre...


Che cos'è il tempo?Se non me lo chiedi lo so;ma se invece mi chiedi che
cosa sia il tempo,non so rispondere.

da Confessiones, S. Agostino




Sabbia…


Mi è sempre piaciuta, la sabbia. Rilassa. Avvolge. Fredda, umida, quando si cammina sulla battigia. Calda, rassicurante, poco più in là. La sabbia…E’ un confine, netto come di colpo il suo colore vira dal chiaro allo scuro.

Netta.

Violenta. Dolorosa. Sottile. Precisa.

Un taglio. Uno squarcio. La sabbia…E’ strana…

Cos’è…Una volta era sasso, granito, roccia. Una volta, era fiera, forte, immobile. Una volta, si è lasciata trasportare dal vento, si è lasciata sciogliere dal sole. Una volta, era lontana e adesso riposa lì, su una spiaggia. Uguale a mille altre. Diversa da centinaia di altre.

Aspetta.

Aspetta che il mare la riprenda con sé. Aspetta che la porti via, che le faccia vedere una nuova spiaggia, un nuovo mondo. Così uguale. Così diverso. Sempre. Sempre. Sempre. In eterno. Perché adesso, lei è eterna. Lei continuerà a vagare, a scivolare fra salsedine e coralli, continuerà scorrere con la spuma del mare. Continuerà. Senza più passato. Senza più futuro.

Quando ero piccola, nella casa delle mie zie c’era una clessidra. Una scatolina che racchiudeva due piccole bocce di vetro. E la sabbia. Sabbia grigia. La giravo, e la sabbia scendeva piano, nella strozzatura sottile. La guardava cadere, granello dopo granello. La spiavo ammucchiarsi in una piccola duna che, piano piano si appuntiva sempre di più. Granello dopo granello. Sembrava una cascata intoccabile. Una cascata irreale. Di quelle che esistono solo nelle fantasie. Di quelle che popolano il mondo onirico di un bambino. Dove l’acqua è di sabbi e il mare di velluto.

Io fissavo la clessidra, fino all’ultimo granello. Fino a quando tutto si fermava. Allora, allungavo le mani e la giravo. Girava la sabbia; giravano le piccole colonnine intarsiate; giravano le belle bocce di vetro. Girava. E il gioco ricominciava. Di nuovo quella cascata grigia. Di nuovo un fruscio lievissimo. Di nuovo. Sempre.

Perché, per quante volte la clessidra venisse ruotata, avrebbe ripetuto sempre il suo compito: la sabbia sarebbe scivolata in eterno. Eterna. Come quella del mare.

A cosa serve la sabbia?...

Non c’è un unico impiego. È il diletto di un bambino;è la base per le costruzioni edili; è uno dei più antichi strumenti per misurare il tempo.

Il tempo…La sabbia è eterna, ma ogni cosa che sia riferita a lei è beffardamente finita. Labili i castelli di sabbia; labili le costruzioni dell’uomo. Labile il tempo. Perché, anche se continua a scorrere, se passa e sempre passerà, non può tornare indietro. Ed eterno è solo ciò che muta senza cambiare. Che comunque resta sempre uguale a se stesso.

Il tempo non è come la sabbia. Il tempo non è eterno. È solo infinito. È diverso. Continua a passare, ma nessun istante è uguale all’altro. Niente si ripete. Può solo accadere. Avviene, e si archivia. Nella memoria, nei libri, nel nulla. Passa, rimane e poi, lentamente sbiadisce. Ma non resta. Non si ferma. Non può. Il tempo corre, e con lui la vita.

Il tempo…Una clessidra racchiude il tempo; la sabbia centellina il tempo. Il tempo è sabbia, in una clessidra che, però, non può ruotare. Perché, indietro, non si può tornare.

La sabbia è eterna. Il tempo no. La sabbia resta sempre uguale. Il tempo continua a mutare. Eppure, entrambi scorrono. Fra le dita, nella mente, nell’acqua e nel vento.

Alla fine…alla fine resta solo una conchiglia, una stella marina, un ciottolo abbandonato sulla battigia. Alla fine, tutto diviene grigio. Come la sabbia della clessidra dei miei ricordi. Tutto scolora. Solo la sabbia resta. Solo lei. Ferma. Immobile.

Aspetta.

Aspetta che il mare la porti di nuovo via. Aspetta la pioggia per cancellare il confine fra bagnato e asciutto. Aspetta il vento per volare. Aspetta il sole per riscaldare.

Aspetta. Come ha sempre fatto. Perché, per lei, non esiste il tempo. Non esiste il prima e il dopo. Era roccia, forse sarà polvere. Intanto è. Sabbia. E basta. E raccoglie ciò che il mare le regala. I frammenti delle onde, gli scheletri della vita.

martedì 3 luglio 2007

Delirio razionale

A volte sazio il cuore di pianto, altre volte
smetto chè dal gelido pianto viene in fretta stanchezza.

Omero, Odissea, IV 102-103 (Menelao)



Lacrime.
Sorrisi.
Non esiste altro.
Solo lacrime. E sorrisi.
Perché la vita è questo.
Istanti di dolore.
Sospiri di felicità.
Momenti.
Di speranza. Di disillusione.
Questa è la vita.
Solo questo.

Frammenti.
Carrellate di emozioni.
Sensazioni.
Scandiscono confusamente l’esistenza.
Schegge.
Increspature.
Irrazionalità.
Perché nulla ha reali spiegazioni.
Confusione.
Di anima e ragione.

Oscurità.
Di origine e di destino.
Esistenza.
Unica certezza.
Perché la si desidera.
Ardentemente.
Nonostante tutto.
Scivolate e delusioni.
Inganni e apparenze.

Perché è un gioco.
Condotto senza avversari.
Perché neanche quelli esistono.
Vincitore o vinto.
Domatore o domato.
Non c’è differenza alcuna.
Perché giocare vuol dire vivere.
D’illusioni e di bugie.
Di sogni e di speranze.
Solo vivere.
E ciascuno sceglie la propria vita.

Non importa al mondo.
Ha binari ben tracciati.
Procede dritto. Non deraglia.
No. Lui, no.
Corse veloci.
Istanti labili.
Inconsistenza.
Sempre binari.
Rotti. Dissestati.
Binari.
Di profughi. Di re.
Binari di vita.

Però è la vita.
Una vita che vuole essere vissuta.
Per questo bisogna vivere.
Vivere ogni istante; assaporandolo fino in fondo.
La banalità del quotidiano.
L’irripetibilità di un momento magico.
Vivere.
Camminando a testa alta.
Verso il destino che si può plasmare.
Secondo la propria volontà.
Secondo i propri sogni.

Perché vivere significa lanciarsi in avanti.
Sempre.
Verso qualcosa di superiore.
Verso la perfezione.
Lanciarsi; e cercare di arrivarci.
Anche se è difficile.

Bisogna vivere.
Per sognare.
Perché esistono realtà che neanche il sogno può svelare.
Ma bisogna continuare.
Bisogna sognare.
Perché i sogni vivono finché si è disposti a sperare.

lunedì 2 luglio 2007

Sulla banalità...




Ho visto
la gente della mia età andare via
lungo le strade che non portano mai a niente
cercare il sogno che conduce alla pazzia
nella ricerca di qualcosa che non trovano nel mondo che hanno già.
Lungo le notti che dal vino son bagnate
dentro le stanze da pastiglie
trasformate.
Lungo le nuvole di fumo, nel mondo fatto di città,
essere
contro od ingoiare la nostra stanca civiltà.
E un Dio che è morto.
Ai bordi delle strade Dio è morto
nelle auto prese a rate Dio è morto
nei miti dell'estate Dio è morto.
Mi han detto che questa mia
generazione ormai non crede
in ciò che spesso han mascherato con la
fede
nei miti eterni della patria o dell'eroe
perché è venuto il
momento di negare tutto ciò che è falsità .
Le fedi fatte di abitudini e
paura.
Una politica che è solo far carriera
il perbenismo interessato,
la dignità fatta di vuoto
l'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione
e mai col torto.
E un Dio che è morto
Nei campi di sterminio Dio è morto
coi miti della razza Dio è morto
con gli odi di partito Dio è morto.
Ma penso
che questa mia generazione è preparata
a un mondo nuovo
e a una speranza appena nata
ad un futuro che ha già in mano, a
una rivolta senza armi
perché noi tutti ormai sappiamo che se Dio
muore è per tre giorni
e poi risorge
in ciò che noi crediamo Dio è risorto
in ciò che noi vogliamo Dio è risorto
Nel mondo che faremo
Dio è risorto,
Dio è risorto.




Francesco Guccini






Forse ci si chiederà perché ho deciso di iniziare questa riflessione con il testo di una canzone…Non sono una patita di musica, e quella che ascolto e conosco è filtrata attraverso i miei interessi universitari in maggior parte. Questa canzone, scritta da Francesco Guccini, che adoro per l’andamento poetico dei suoi testi, e cantata dai Nomadi, è un vecchio successo, che forse voi probabilmente già conoscete; io l’ho sentita per caso alla radio di un bar, mentre pranzavo. E mi ha trafitto. Sì. Proprio trafitto.

Il motivo? Banale: quanta forza può esserci in ovvietà sbattute in faccia alla gente? Sul ritmo di note incalzanti, che ti trascinano facendoti battere il cuore alla follia? Forse queste mie parole sono un’accozzaglia di luoghi comuni, utili solo a riempirsi la bocca o le righe di questa mail.

È vero. Quelle che dico sono ovvietà. Ma lo sono anche le parole che si susseguono in quella canzone. E allora, perché ha avuto successo? In fondo, non dice nulla di nuovo. Parole trite e ritrite. Che la nostra società si regga su basi individualistiche e arrivistiche è ormai una realtà consolidata. Forse ovvia. Perché l’uomo, benché sia un “animale politico” come amava definirlo Aristotele, è anche per natura egocentrico. Attenzione. Non voglio dare un giudizio di condanna; semplicemente, credo che ogni azione, anche la più disinteressata, rientri in un circuito mentale che comunque ha come referente sempre e solo la persona che compie il pensiero stesso. Anche se a livello di subconscio.

Per me, che studio di una civiltà in cui l’opinione altri era il perno del proprio atteggiamento, una “civiltà di vergogna”, come la definisce Hawelock, dove il mito e le chimere partorite dalla mente sono realtà incontrastabili, sicurezze certe e inequivocabili, vedere la degenerazione della figura del mito al semplice calciatore o alla cantante in auge al momento, significa andare a sbattere con lo sfacelo del mondo; un mondo in cui la gente si lascia trascinare, in cui l’importante, l’indispensabile, è conformarsi. Al momento vanno di moda i reality? Benissimo! Tutti appassionati di reality allora.

E’ questa la capacità di pensare cui ci dovrebbero abituare 4000 anni di storia, di pensiero, di filosofia? E’ questo il mondo in voglio vivere? Non ho pretese di cambiarlo, perché so che razionalmente non posso farlo. Però, mi basta restare fedele a me stessa, a costo di sentirmi criticare e sbeffeggiare, a costo di far la figura dell’ignorante perché non conosco il nome del protagonista dell’ultimo scandalo. Non è questo quello che voglio sapere. Non è questo che mi mostra la realtà.

E allora, ben vengano anche le parole abusate di una canzone, che almeno hanno il merito della banalità. Già, la banalità…Quante volte, i professori ci hanno detto di rifuggire dai pensieri comuni? Che “Dio è morto, che la società non ha più ideali…” sono opinioni diffuse. Consolidate. Ma forse proprio per questo, ormai ci scivolano addosso senza più toccarci. Io non ritengo che sia giusto procedere di luogo comune in luogo comune, ma sono convinta che anche la banalità abbia la sua importanza.

Il fatto che un pensiero sia sopravvissuto uguale nel tempo, sia stato sbandierato e riproposto fino alla nausea, non significa assolutamente che sia il prodotto di una retorica vuota e disillusa. Io sono fermamente convinta che la banalità sia importante. Intendiamoci: adesso non voglio dire che tutti dobbiamo abbandonarci alla mediocrità di pensiero. Ma neanche ignorare i messaggi che ossessivamente ci vengono fatti rimbalzare in testa. Cosa si nasconde dietro l’apparato convenzionale di una frase? Perché quella frase, adesso? Per quale motivo? Forse sto semplificando troppo la cosa, ma io sono una ferma sostenitrice “dell’importanza del banale”. Senza affondare nel convenzionale.

domenica 1 luglio 2007

Van Gogh

E' vero che in natura esiste sia
l'appassire sia lo sbocciare dell'amore, ma nulla muore completamente. E' vero
che c'è un flusso e un riflusso, ma il mare resta mare.

Vincent Van Gogh


Ricordi?
Erano ulivi.
Cerulei.
Blu.
Bianchi.
Tocchi leggeri; veloci.
Frammenti.
D'intensa passione.
Alberi.
Massicci e aggraziati.
Contorti.
Nel tronco nodoso.
Nelle chiome indistinte.
Solo ulivi.
Fra cielo e terra.
Groviglio indistinto.


Ricordi?
Fiamme guizzanti.
D'acciaio.
D'argento.
Lingue d'inferno.
In un groviglio policromo.
Di pennellate fugaci.
Di spasmi di passione.
Sibilano.
Ondeggiano.
S'intrecciano.


Ricordi?
Ulivi.
Fiamme.
Cocci sulla tela.
Solo una macchia indistinta.
Solo questo.
Aggrovigliata.
Crepitante nel suo silenzio.
Turbinante nella sua staticità.
Immobile.
Ansimante.
Ipnotica: spirale cromatica.
Soffocante.
Gelo di fuoco.
Ardore di diamante.
Follia.
Visiva. Mentale.
Irrazionalità.


Ricordi?
Erano ulivi.
Erano fiamme.
Solo questo.
Nulla in realtà.
Solo un istnate.
A parlare con te.


Oltre il sogno...

Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi
da Il piccolo principe, Antoine de Saint-Exupéry




Oltre il sogno...

Cosa c'è oltre il sogno?...Immagii, illusioni, proiezioni oniriche del nostro subconscio. Oltre il sogno c'è un mondo?...Esiste qualcosa?...Impuarisce. Terrorizza. Attrare. Perchè qulacosa c'è, aldilà della nostra mente. Ci deve essere. Altrimenti...Altrimenti non ne varrebbe la pena. Non vale la pena nenahce di illudersi.

Non ho mai provato a varcare il sogno.

Perchè?...Si dice che quando un'illusione viene sfiorata, sconpare. Si dice che un idolo va guardato, adorato, ma mai toccato. E il sogno è come una divinità da gurdare. Ma da non sfiorare. Altrimenti, rimane solo il nulla. Il vuoto.

No. Non ho paura del nulla che ci potrebbe essere oltre il mio sogno. Semplicemente, non c'è distinzone fra realtà e sogno. Sono un tutt'uno. Perchè bisogna vivere il sogno: nel dolore, nello sconforto, nel nulla; nella gioia, nella speranza, nel sorriso...
Bisogna vivere il sogno, come si vive la vita.
Perchè il sogno é vita.

Oltre il sogno non c'è il nulla.
Oltre il sogno non c'è il vuoto.
Oltre il sogno c'è la vita.
Oltre il sogno...c'è la mia vita.

Quella che posso, voglio costruire. Su nuvole di certezze. Su mattoni di fantasie.
Perchè la mia vita è nelle mie mani. Nel gioco della mia mente, nell'illusione della notte. Non bisogna temere la notte. Non bisogna temere il sogno. Bisogna illudersi.

Bisogna.

Bisognerebbe...

E non importa se alla fine rimarrà poco o niente. Non deve interessare. Non mi deve interessare. Finchè potrò sognare, finchè avrò la volontà di illudermi, allora...Allora sarò ancora vita. E sogno. Perchè altro non c'è. E la vita può, deve essere un sogno.

 

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