venerdì 29 agosto 2008

Penne miracolose

L'Acchiappasogni King lo ha scritto in sei mesi. E tutto a mano. Più di seicento pagine con un editor vecchio come il mondo: la penna.
Me ne sono ricordata oggi, e sono andata a curiosare sul libro di simbologia che mi hanno regalato. Sotto che voce?

Penna è ovvio. E ho scoperto che significa ascensione, elevazione, animazione, ma anche crescita.
Viene dal latino, certo: pinna. E Il vecchio gioco pinne-penne è conosicuto: in fondo le Sirene sono diventate donne-pesce a causa di un possibile errore di trascrizione di un qualche copista distratto. E addio ad ali e zampe artigliate.
Compunque: la penna è una panacea efficacie per tutti i mali, e Teocrito diceva bene: il Ciclope ha trovato il rimedio ideale alle sue pene, ovvero l'arte.
Scrivere è un modo di esercitare l'arte. E poco importa che tu abbia tre premi nobel e qualche attestato letterario. Ma mi chiedo se è solo (ma non credo) autocompiacimento, o quasi una vera e propria necessità.
Zoroastro raccomandava di usare la scrittura per proteggersi da mali e pericoli.

"Con questa penna,
tu strofinerai il tuo corpo.
Con questa penna,
rinvierai la maledizione ai tuoi nemici
".

E di nuovo mi viene in mente King, e la sua confessione in explicit al libro: quei mesi segnati da forti dolori fisici, e la scrittura che porta altrove. E la consapevolezza, ovvia e insieme nuova, di dover ritrovare il gusto di scrivere con una penna.
Il mago ha la bacchetta magica; lo scrittore può fare magie con una penna?

Io penso di sì.

venerdì 15 agosto 2008

À la Mère






È delizioso restare immersi
in questa specie di luce liquida
che fa di noi degli esseri diversi e sospesi

Paul Claudel, 1910

lunedì 11 agosto 2008

Rassegna estate

[qualsiasi allusione è scherzosamente voluta]



C'è uno striscione bianco con una scritta rossa, verso Caldonazzo.

Estate campeggia a lettere sgargianti. Ci sono anche altre parole (festa di, concerto per, incontro di...e similia) che non ho letto. Un po' perhcè più piccole; un po' perchè è stata quella parola a catturarmi.


Estate.

Cosa vuol dire estate?

Mia sorella che ripesca la chitarra (e le corde sono sei! Non cinque, come sostengo io senza capirci niente. Il pianoforte, del resto, ne ha di più), le candele e noi che stoniamo (io!) fino a sera tarda. Il cielo bello terso per tutti i mesi e adesso, che è il periodo migliore delle stelle cadenti, mentre mi armo di telescopio e dò il via alla grande pulizia di filtri, adattotori e lenti, la notte si fa buia buia e piena di nuvole. Pazienza, allora. E' bello lo stesso.

Stendersi alle undici sul poggiolo, in camicia da notte, e senire sotto la pelle il caldo della ceramica. Andare in giro per casa a piedi nudi (tanto il raffreddore, se vuole, lo prendo lo stesso), rischiare di scivolare sulle scale e ritrovarmi a fare l'equilibrista a ben due millimetri da terra, sospesa sopra un baratro che è la stradina grigia girgia di sera percorsa sul filo dell'ombra di un cancello.

E rincorrere sotto i lampioni la mia ombra che si avvicina e si allontana, pestando per bene i piedi a terra quasi mi aspettassi di sentire male. E sentirmi sciocca mentre lo faccio e dire che, in fondo, non me ne importa niente. E anche Adriano Meis (al secolo il caro Fu Mattia Pascal) per una sera può finire nel ripostiglio dei miei pensieri, e restarsene lì con la mia abitudine a letterariezzare quasi ogni cosa.

Uscire alle dieci e pensare alla passeggiata, alla strda da fare, e ignorare i libri che si ammucciano e che, in inverno, alle dieci, inzia il terzo turno di studio, quello serale.

Passeggiare per il paese (rigorosamente deserto) e bere una bella cioccolata calda fumante. Perchè se io non bevo una bella cioccolata calda sotto il castello, d'estate, non credo di aver fatto vacanza^^

E approfittare di due minuti per un esteneuante torneo di ping pong fatto di niente e poi scoprire che ancora mi diverto a riesumare le Barbie e a giocarci come quando aveva sei anni. E Tucidide può occhieggiare finchè vuole dallo scaffale: uno squadrone di opliti lo posso comunque creare, fra Ken e similia.

E senitire la pelle del divano sulla pelle e ricordarmi di fare piano ad alzarmi se mi addormento in soggiorno, perchè incombe sempre minacciosa, dall'alto, la mia personale e moderna versione della spada di damoclea memoria: la finestra.


La mia estate non è nulla di particolare.

Non è viaggi, pazzie e storie da raccontare.

Ma mi va bene lo stesso.

Perchè posso fingere di non avere vent'anni. E di tornare bambina











giovedì 7 agosto 2008

Futuristi e impaginazioni

Con l'anno prossimo fanno cento.
Cento anni dalla prima pubblicazione de "Il manfesto futurista", di qulla serie di regole create da Marinetti che sono andate a capovolgere una vestito un po' vecchio e con qualche logorio qua e là quale era la visione ingessata del mondo. Molte idee che se ne vanno a braccetto con l'amore per la velocità (embrione della lotta claviniana di Perseo e Gorgò?), la tecnologia (aerei e automoblili infestano pagine e pagine, quando sulle strade i mezzi di locomozione più diffusi sono ancora le gambe) e la violenza.
Eh, già: c'è anche la violenza. Non che l'uomo se la dimentichi da qualche parte, per carità. Se le prime saghe della storia (fino alle prime fiabe che si possono ricrodare) presentano elementi violenti un motivo ci deve pur essere. Forse una specie di recondita attrazione verso l'autodistruzione e la messa in gioco di se stessi. L'uomo sembra l'unico animele dedito alla distruzione della propria razza, invece che alla conservazione. Con buona pace di Aristotele e del suo aforisma sulla socevolezza umana. Probabilmente qui c'è l'influsso di Darwin. Perchè se l'uomo è preso dalla spirale della selezione naturale Darwin non può mancare.
Tornando al Futurismo, c'è una cosa. Una "cosa" che si studia a scuola, sui banchi dell'ultimo anno, e che ammuffisce in un'idea sbiadita nella testa. Si decompone, lo si può ammettere tranquillamente. Perchè non interessa a nessuno, perchè di rivoluzioni ce ne sono state tante, nella Storia. Una in più o una in meno nella testa non cambia le cose. Forse perchè questa non è andata oltre i pochi anni, e non ha lasciato morti di sangue e brandelli di carne dietro di sè.
Ma di rivoluzione si tratta.
Eccome!
Che ha di tanto speciale?
Se sorvoliamo sulla strage della riga, sulla fucilazione sistematica della coniugazione dei verbi (deliziosa croce degli studenti, e non solo), sull'incoronazione a imperatore del sostantivo e del suo inseparabile amico in correlazione analogica , sul depennamento puntuale di punti, virgole e amenità della punteggiatura, non ha niente.
Se sorvoliamo su tutto questo e sulle altre regole che hanno retto la letteratura per quasi quattromila anni, ovvio.
E allora, forse, non è meglio fermarsi un po' anche su questa rivoluzione?
Su mestiere di scrivere c'è un bell'articolo sull'allineamento del testo.
Pacchetti, bandiere fluttuanti ed epigrafi. Tutti usati. Con rigore e con misura. Ma perchè?
Perchè un testo ufficiale deve essere giustificato, una poesia assomiglia a un panino sboconcellato (anzi, facciamo un biscotto: le briciole sono quelle paroline delle poesie moderne che saltellano fuori dall'ordine metrico e ti mandano in confusione) e per essere di impatto un titolo deve campeggiare, con tanto di tende sacco a pelo e fuoco di bivacco, in centro alla pagine.
Perchè è così.
E chi lo ha deciso? I Futuristi no di certo. Hanno abolito la linea retta continua segmentata giustificata e ordinata, loro.
Hanno detto: ho un foglio, una penna e la mia testa. E posso iniziare a scirvere dove voglio. In basso a destra? E vada per il basso a destra. E poi saltellare di qua e di là. Non fa mele stravolgere un po' anche l'ordine: non si inventa solo una trama nuova. Provate voi a riscrivere la storia di Cappuccetto Rosso (chi non conosce Cappuccetto Rosso?) partendo dalla fine. O dal centro. O dal lupo. Ecco: partendo da un povero lupo bistrattato e che finisce ammazzato, impalliunato o sventrato (alla faccia dell'innoqua favola per bambini) quasi sempre. Non cambia molto, alla fine. La storia resta sempre quella.
Ma provate a mettere prima il lupo, poi un cestino. Aggiungiamo qualche aggettivo, amalgamiamo con un cacciatore che compare prima della nonna e un bosco che decora il tutto. In fondo. Allora credo propria che la storia sia diversa.
Insomma.
Credo che si potrebbe riprendere in mano la lezione futurista. La prima.
E iniziare a provare a scrivere senza badare tanto a dove poniamo la penna (o il cursore). A destra, se ci va. O a sinistra.
E mettiamo grassetti, corsivi, sottolineature e parentesi. Non servono solo in matematica, le parentesi. I greci le usavano per espungere i testi. Adesso si possono usare per molto altro.
Non voglio sobillare la scrittura accademica.
Ma almeno nella narrativa (anche se amatoriale) si potrebbe tentare.

venerdì 1 agosto 2008

La giostra

Nella bussola gira l'ago

come fosse ai comandi di un mago.

Nell'universo gira la Terra,

dove vorrei si abolisse la guerra.

Nel cielo girano a mille le stelle,

forse han l'incarico di sentinelle.

Gira la ventola della miniera,

nell'orologio gira la sfera.

Nell'automobile gira il volante,

per evitare i muri e le piante.

L'elica gira nell'areoplano

che giunge presto in un paese lontano;

gira la giostra con i seggiolini

gioia e timore dei più piccini.


Ogni tanto basta una filastrocca senza un vero perchè, a far sorridere un po'. Una di quelle filastrocche sconclusionate, pesacata da un vecchio libro per le vacanza. Io me li ricordo ancora, i libri per le vacanze. Ce ne sono anche adesso. E sono tanti.

Il mio era con i personaggi Disney. E puntualmente lo iniziavo a Giugno per poi lasciarlo sonnecchiare fino a fine Agosto. Più o meno.

Non era male. Me lo portavo sempre dietro.

Ma poi. Poi c'era sempre di meglio da fare.

Però leggevo le storie e le filastrocche.

Come quella qui sopra.

E le giostre mi piacevano. In estate, anzi alla fine dell'estate, nel parcheggio davanti alla Filanda arrivavano sempre i cavallini. Sulla giostra, naturlamente.

Sono anni che non torna più. Sono anni che i cavalli infiocchettati, simili a bon bon che fanno sorridere, non corrono più sulle note di un carillon.


Adesso, c'è un'altra giostra.

Quella medievale. E di cavalli ce ne sono anche lì. Cavalli veri, questa volta. Non mi piacciono di più non mi piacciono di meno.

Sono comunque una parentesi di infanzia cresciuta.




 

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