giovedì 7 agosto 2008

Futuristi e impaginazioni

Con l'anno prossimo fanno cento.
Cento anni dalla prima pubblicazione de "Il manfesto futurista", di qulla serie di regole create da Marinetti che sono andate a capovolgere una vestito un po' vecchio e con qualche logorio qua e là quale era la visione ingessata del mondo. Molte idee che se ne vanno a braccetto con l'amore per la velocità (embrione della lotta claviniana di Perseo e Gorgò?), la tecnologia (aerei e automoblili infestano pagine e pagine, quando sulle strade i mezzi di locomozione più diffusi sono ancora le gambe) e la violenza.
Eh, già: c'è anche la violenza. Non che l'uomo se la dimentichi da qualche parte, per carità. Se le prime saghe della storia (fino alle prime fiabe che si possono ricrodare) presentano elementi violenti un motivo ci deve pur essere. Forse una specie di recondita attrazione verso l'autodistruzione e la messa in gioco di se stessi. L'uomo sembra l'unico animele dedito alla distruzione della propria razza, invece che alla conservazione. Con buona pace di Aristotele e del suo aforisma sulla socevolezza umana. Probabilmente qui c'è l'influsso di Darwin. Perchè se l'uomo è preso dalla spirale della selezione naturale Darwin non può mancare.
Tornando al Futurismo, c'è una cosa. Una "cosa" che si studia a scuola, sui banchi dell'ultimo anno, e che ammuffisce in un'idea sbiadita nella testa. Si decompone, lo si può ammettere tranquillamente. Perchè non interessa a nessuno, perchè di rivoluzioni ce ne sono state tante, nella Storia. Una in più o una in meno nella testa non cambia le cose. Forse perchè questa non è andata oltre i pochi anni, e non ha lasciato morti di sangue e brandelli di carne dietro di sè.
Ma di rivoluzione si tratta.
Eccome!
Che ha di tanto speciale?
Se sorvoliamo sulla strage della riga, sulla fucilazione sistematica della coniugazione dei verbi (deliziosa croce degli studenti, e non solo), sull'incoronazione a imperatore del sostantivo e del suo inseparabile amico in correlazione analogica , sul depennamento puntuale di punti, virgole e amenità della punteggiatura, non ha niente.
Se sorvoliamo su tutto questo e sulle altre regole che hanno retto la letteratura per quasi quattromila anni, ovvio.
E allora, forse, non è meglio fermarsi un po' anche su questa rivoluzione?
Su mestiere di scrivere c'è un bell'articolo sull'allineamento del testo.
Pacchetti, bandiere fluttuanti ed epigrafi. Tutti usati. Con rigore e con misura. Ma perchè?
Perchè un testo ufficiale deve essere giustificato, una poesia assomiglia a un panino sboconcellato (anzi, facciamo un biscotto: le briciole sono quelle paroline delle poesie moderne che saltellano fuori dall'ordine metrico e ti mandano in confusione) e per essere di impatto un titolo deve campeggiare, con tanto di tende sacco a pelo e fuoco di bivacco, in centro alla pagine.
Perchè è così.
E chi lo ha deciso? I Futuristi no di certo. Hanno abolito la linea retta continua segmentata giustificata e ordinata, loro.
Hanno detto: ho un foglio, una penna e la mia testa. E posso iniziare a scirvere dove voglio. In basso a destra? E vada per il basso a destra. E poi saltellare di qua e di là. Non fa mele stravolgere un po' anche l'ordine: non si inventa solo una trama nuova. Provate voi a riscrivere la storia di Cappuccetto Rosso (chi non conosce Cappuccetto Rosso?) partendo dalla fine. O dal centro. O dal lupo. Ecco: partendo da un povero lupo bistrattato e che finisce ammazzato, impalliunato o sventrato (alla faccia dell'innoqua favola per bambini) quasi sempre. Non cambia molto, alla fine. La storia resta sempre quella.
Ma provate a mettere prima il lupo, poi un cestino. Aggiungiamo qualche aggettivo, amalgamiamo con un cacciatore che compare prima della nonna e un bosco che decora il tutto. In fondo. Allora credo propria che la storia sia diversa.
Insomma.
Credo che si potrebbe riprendere in mano la lezione futurista. La prima.
E iniziare a provare a scrivere senza badare tanto a dove poniamo la penna (o il cursore). A destra, se ci va. O a sinistra.
E mettiamo grassetti, corsivi, sottolineature e parentesi. Non servono solo in matematica, le parentesi. I greci le usavano per espungere i testi. Adesso si possono usare per molto altro.
Non voglio sobillare la scrittura accademica.
Ma almeno nella narrativa (anche se amatoriale) si potrebbe tentare.

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