venerdì 4 luglio 2008

Dietro una fine

Inuyasha è finito. Da un mese ormai.
E la fine, l' heppy endingi (si scriverà così? Odio sempre di più l'inglese), non ha soddisfatto. Praticamente nessuno.
Ci siamo divertiti a riprovare, a riscrivere un finale piatto e, in fondo, fin troppo banale. Ne sono uscite mille storie. Molto belle.
Divertenti, sarcastiche, tragiche.

E intanto, conto i mesi. Perchè mi sono accorta che, in fondo, nove mesi sono pochi.
E fra nove mesi esce Esbat.
Sono curiosa. Non lo nego.
E trovo un po' di interrogativi e di crisi essitenziali nel blog di Lara.
Come la discussione sulla prima e la terza persona. Qual è meglio usare, quale è più facile usare? (sempre che si possa usarlo, l'aggettivo facile).
Non lo so.
Con Naya sto impazzendo.
Seriamente impazzendo.
E scoprendo la complessità dell'IO.

Insomma: rendere il pesniero e il parlato assieme, senza accartocciarsi in inutili e falsi verbi fraseologici, senza perdersi in descrizioni che non faremmo mai se fossimo noi a parlare, veramente; e insieme restare esaurienti.
Non credo che ci riuscirò mai davvero.
Già adesso non so quanto possa ritenere pseudosoddisfaciente il risultato.
Ma tant'è. Intanto, finisco.
Poi, si inizia a scrivere.
Seriamente.

E' buffo, ma credo proprio che sia così: a scrivere si parte dalla fine. Quando hai il tuo bel tema, testo o quello che sia, fra le mani. Pronto alla consegna. E allora. Allora prendi in mano la penna rossa, e inizia a scrivere. Non a correggere. Quello verrà dopo. Quello verrà quando ti deciderai a dire "ho finito".
Allora, potrai correggere.
Ma scrivere. Scrivere inizia davanti al lavoro finito.
Al canovaccio che si rivela essere la bella copia. E la brutta copia è una scaletta un po' ribelle, che ti porta dove forse non ti saresti aspettato di arrivare.

Non so.
Naya per prima. Poi vedrò.

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